Presentazione del libro alla SUN

di Alida Labella preside della facoltà di Psicologia della Seconda Università di Napoli

tavolo-relatori2Caserta, 28 Maggio 2007.

Il mio è un intervento in punta di piedi con delicatezza e “leggerezza”così come sono state trattate le storie di tante donne che sarebbe difficile elencare.Ogni storia nella sua essenzialità cruda rimanda a vicende di grande violenza trattate con pudore, serenità, dignità e profondo rispetto.Assolutamente encomiabile la pulizia del racconto, la semplicità delle descrizioni che rimandano alla crudezza ed essenzialità delle storie di vita, non indugiano su racconti superficiali, ma hanno la grande capacità di individuare gli snodi dei cambiamenti e delle scelte necessari per ritrovare un percorso di vita degno del “versus” il futuro.

Mai una caduta in toni moralistici e “salvifici” né trionfalistici perché è costante la sensazione che il pensiero vada a quante non sono riuscite ad emanciparsi dalla schiavitù per ritrovare dignità, identità, rispetto come una persona e la propria”terra”. Per lo psicologo, come me, interessante: la posizione di pazienza… attesa… discrezione… curiosità, atteggiamenti indispensabili per l’integrazione nello scambio delle culture e nella fusione del senso della vita e della comunione solidale.tavolo-relatori

Centrale è l’emergere della “comunità speranza” ma soprattutto della nascita… non una speranza vuota quindi ma… piena, intensa, concreta perché la nuova vita è la forza che sostiene la scelta e la capacità di trasformare una vita senza anima, pregna di odio, rabbia, solitudine, paralizzata nella ferita della violenza quotidiana subita come necessaria, per non morire ma sopravvivere.

Casa Rut consente di allontanarsi dagli automatismi di un corpo espropriato e respingente perché offeso ed usato con durezza, per ritrovare e riscoprire un corpo morbido, caldo, ricco di amore, nutrimento, vita, fertilità, per rinascita con e nella maternità.

Questo elemento di recupero costituisce l’essenza, il “miracolo” della condizione femminile: poter rinascere attraverso il percorso della gravidanza-maternità, condizione che costruisce il tramite per essere in comunità e condividere fra donne a prescindere dalle culture di appartenenze: “il bambino è un po’ il figlio della comunità… come accade nel villaggio africano”.

Significativo e bellissimo nella sua struggente tristezza ma pieno di serenità e generosità è il percorso interiore che ritroviamo nella storia di Ithoan, giovane nigeriana con una storia di violenze irripetibili perché non contenibili in nessun pensiero umano. Una donna che, nonostante il “male dentro”, riesce a far crescere e nutrire un ‘prodotto’ sentito come estraneo e contaminato per identificarlo alla fine con la parte buona di sé, da dare alla vita (una figlia di un chilo e seicento grammi) e all’adozione dopo averla nutrita e salvata con dedizione e solidarietà… un gesto d’amore: forse per salvarla dal destino cattivo, dalla parte malata che ancora sente dentro di sé…

Copia di pubblico-salaFa rabbia la non corretta applicazione dell’art. 18, per il recupero di identità, rispetto e liberazione.Indigna scoprire che solo come collaboratori della giustizia le vittime possono usufruire di una “forma” premiale di tutela e protezione mentre il loro essere violate nei diritti e nella dignità non è sufficiente per essere sostenute ed aiutate: donne come merce per gli altri sfruttatori e per la giustizia che le riconosce solo se collaboratrice e quindi mezzo per e non come vittime da tutelare.

Passaggi significativi strutturanti i percorsi di vita delle donne di Casa Rut:

* il nostro compito è di accompagnare non di sostituirci…
* il grido della dignità è il grido della vita…
* “Il sole non dimentica alcun villaggio”… proverbio africano.

E vorrei concludere con questa frase di Tagore: “Ora ho trovato un senso ed una misura, so che la pena è il sale della vita e che la gioia è nel guardare il cielo per caso e riconoscere l’azzurro”.

gruppo3

LuciaMirelaSilvana

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